Humans of New York

Un ragazzo pachistano sorpreso dal fotografo all'Hollywood Boulevard di Los Angeles (ph. © Dafne Cimino).

Qual è il tuo ricordo più felice? Questa è solo una delle tante domande che vengono poste quotidianamente da un fotografo newyorkese, Brandon Stanton, alle persone che ferma per strada. Uno scatto, una storia.

“There are no strangers here: only friends you haven’t yet met” 
(William Butler Yeats)

Qual è il tuo ricordo più felice?
Questa è solo una delle tante domande che vengono poste quotidianamente da Brandon Stanton, fotografo newyorkese, proprietario della pagina facebook e autore dell’omonimo bestseller Humans Of New York
La parola inglese sonder definisce quel momento in cui si realizza che ogni persona intorno a noi ha una vita complessa con annessi sentimenti, ricordi e preoccupazioni. Ogni giorno, Brandon riesce con una semplice domanda a fotografare decine di persone e, dietro una fotocamera, a conoscerne le storie. Le barriere sociali che la vita quotidiana ci impone vengono sgretolate da poche semplici parole, da una domanda, che varia di volta in volta: “Cosa preferisci di tuo padre?”; “Ti senti realizzato?”; “Cosa ti ha reso felice oggi?”; “Ti piace il tuo lavoro?”; “Hai dei rimorsi?”; “Cos’è difficile fare alla tua età?”; “Qual è la tua storia?”.
È dunque vero che tutti hanno una storia che vale la pena di essere ascoltata, se solo vengono fatte le domande giuste: ne è la prova il successo enorme raggiunto in soli cinque anni da questo piccolo progetto.
Nel 2010, trasferitosi a New York, il giovane fotografo inizia a scattare delle foto dei passanti per costruire una mappa della città; successivamente, queste foto diventano una pagina Facebook, e vengono arricchite da didascalie, brevi risposte, fino ad avere vere e proprie interviste. I suoi concittadini lo riconoscono per strada, e alle volte si leggono didascalie che dicono: “Aspettavo il giorno in cui mi avresti fermato!”.
Sotto la metropolitana di New York.

Sotto la metropolitana di New York.

Storie felici e melanconiche, neolaureati ancora in toga, donne anziane che vanno a giocare al Bingo, lavoratori di strada, senzatetto. La fauna newyorkese viene rappresentata nella sua interezza, e le testimonianze variegate riescono a commuovere gli utenti che leggono da tutto il mondo. Spesso, infatti, il pubblico, sempre più coinvolto, si è dimostrato disponibile ad aiutare i protagonisti delle storie più tristi, con risultati incredibili.
Con il ricavato dei suoi libri, compendio di tutte le storie che scopre e registra giornalmente, Brandon finanzia i suoi viaggi: è riuscito a collezionare storie da più di venti nazioni diverse, particolarmente in Pakistan e Iran, per condividere le storie delle persone che convivono giorno dopo giorno con gli orrori della guerra, e dei rifugiati (refugees, li chiama Brandon) che scappano da questa.
Le testimonianze che raccoglie e pubblica hanno un impatto non irrilevante: ora più che mai, è necessario essere capaci di umanizzare chi vive in queste aree del mondo, di cui si sente parlare ogni giorno senza sosta, fino al punto in cui l’Occidente si è assuefatto alle statistiche e ai numeri di morti causati dalle bombe, dagli attentati, dalla fame. Siamo consapevoli dell’esistenza della guerra, ma la vediamo lontana da noi, senza significato. È difficile, dato un volto a quei numeri sul giornale, restare indifferenti.
È molto più facile dire a se stessi che parlare con gli uomini seduti agli angoli delle strade non consiste di certo in un aiuto concreto: ma è qui l’errore. Spesso, tutto ciò di cui hanno bisogno queste persone, è di essere trattate come tali. Poter essere ascoltato non deve essere negato a nessuno. Avere contatto umano è un diritto imprescindibile di ogni essere umano. 

L’esperimento sociale di Brandon è semplice e fattibile in ogni angolo del pianeta, e in molti hanno tratto ispirazione dalla sua pagina per crearne di simili: Humans of Tehran, Humans of Rome, Humans of Berlin, Humans of Paris, per citarne alcune. Superando la fretta e la velocità che attanaglia la nostra vita quotidiana, fermandoci ad ascoltare l’artista di strada che suona in metropolitana, chiedendo al venditore ambulante di rose qual è il suo piatto preferito, si può colorare la propria giornata di tutte le sfumature che giacciono tra il bianco del mondo, visto attraverso i nostri occhi, e il nero, l’ignoto, delle stesse strade viste da un’altra prospettiva.

www.humansofnewyork.com

Diana VOLPE

© Giuseppe Stampacchia Press 2016
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