Uno spreco di umanità

Il mercato di un presepe in miniatura, alla Fiera di Santa Lucia di Lecce.
Da Pepe Mujica, singolare e discusso “jefe” dei poveri del Sudamerica, una lezione al capitalismo vorace e cialtrone del terzo millennio e alla logica perversa del consumismo.
Marika Agostinelli [GPS]
«Abbiamo inventato una montagna di consumi superflui. E viviamo
comprando e buttando. L’unica cosa che non si può comprare è la vita. La vita
si consuma. Ed è da miserabili consumare la vita per perdere la libertà”.
Parola di José (Pepe) Mujica, ex guerrigliero, ex presidente dell’Uruguay, ex
politico poverissimo tra i più poveri del mondo (bestemmia, di questi tempi),
che parla di uno dei tanti mali che affligge la società moderna: il consumismo.
Ogni essere umano lavora, guadagna, compra e getta nella
pattumiera, per finire in un circolo vizioso che lo porta ad acquistare sempre
di più… e a gettare sempre di più. Vi è un istinto primitivo all’accumulazione,
che poteva funzionare secoli fa, quando non tutto era facilmente reperibile, ma
che ora si è trasformato in un desiderio irrefrenabile di avere tutto, subito e
in grande quantità.
È una sorta di nichilismo esistenziale, colmato con beni
materiali, ai quali si finisce col non dare alcun valore. Desolante è la
condizione tra i più giovani, troppo occupati a rincorrere le ultime mode o
l’ultimo modello di smartphone, piuttosto che pensare ai veri problemi della
società, del mondo o semplicemente della propria famiglia. Bisognerebbe
riflettere, oltre che sulle sue parole, sulla vita stessa dell’ex presidente
uruguayano, dedito alla politica non per tornaconto economico ma per vocazione
personale: del suo cospicuo stipendio tratteneva solo 800 euro, necessari alla
sua sopravvivenza , il resto lo ha sempre devoluto ad associazioni di
volontariato. Si dovrebbe imparare a vivere come lui, di ciò che veramente si
ha bisogno, non di ciò che serve ad accrescere la propria posizione sociale.
Ogni qualvolta si compra qualcosa, dovrebbe sorgere spontaneo chiedersi: Può
rendermi felice? La felicità può giungere da un bene materiale, destinato a
deteriorarsi?
Il vero problema è il fatto che ogni singolo è catapultato
nella società in cui vive, vincolato alle sue leggi economiche, alle sue mode,
ai suoi ritmi; non si pensa a quello che è il mondo in tutta la sua
complessità: esistono milioni di persone che non hanno le nostre stesse
possibilità e opportunità, che vivono la disperazione della fame, ma si è
troppo impegnati a pensare al riparo della propria campana di vetro, dentro il
proprio rumore, isolandoci dal mondo esterno. Basti pensare allo spreco di cibo
delle nazioni sviluppate: secondo la FAO
(Food and Agriculture Organization), disperdiamo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l’anno, 1/3 della produzione
complessiva non viene consumato e finisce nella spazzatura. In Italia, la spesa
superflua si aggira sui 13 miliardi di euro l’anno, e l’italiano medio – in
tempi di Master Chef, prove del cuoco e cucine più o meno da incubo – butta
allegramente nella spazzatura poco meno di 200 chili di cibo l’anno (a testa,
beninteso!), mentre è delle settimane scorse, a corollario di queste cifre, la
notizia degli aiuti comunitari con marchio Ue
finiti nelle discariche abusive delle campagne salentine. Questi dati emergono
ad Expo di Milano appena concluso, incentrato interamente sul tema “Nutrire il
mondo” , quando il mondo invece non si preoccupa di come il “vicino” si nutrirà
negli anni a venire.
L’essere
umano deve ritornare a determinati valori, bisognerebbe progredire non solo in
ambito tecnologico, ma anche a livello sociale, perché non tutto può essere
bianco o nero, non tutto può essere facile o per se stessi. Si può trovare più
felicità in una persona che in un singolo oggetto, per quanto esso bello possa
sembrare.
Marika AGOSTINELLI
© Giuseppe Stampacchia Press 2016
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