Il Vangelo di un Dio minore

Dieci brani che hanno fatto epoca, attraverso gli occhi di una ragazza-madre, culla di Dio, gridano, con una violenta attualità, l’eterno bisogno dell’uomo di un approdo sicuro, di un punto di partenza e di arrivo nell’infinità del mare, tra le onde del male.
Aspettando la Buona Novella
Quarantacinque
anni fa, o poco più, Fabrizio De Andrè, uno dei più grandi cantautori italiani,
pubblicava il suo quarto album, La Buona Novella. Nato da un’idea di
Roberto Dané, che voleva inizialmente proporlo a Duilio Del Prete, il disco
prende come fonti il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo Arabo dell’Infanzia,
entrambi apocrifi ed entrambi portavoce di alcuni fra gli episodi meno noti
della giovinezza di Maria e di alcuni dettagli della Passione.
Dieci
brani, attraverso gli occhi di una ragazza-madre di Dio, gridano, con una
violenta attualità, l’eterno bisogno dell’uomo di un approdo sicuro, di un
punto di partenza e di arrivo nell’infinità del mare. In parole povere, di
umanità, anche nel divino. “Non voglio pensarti figlio di Dio, ma figlio
dell’uomo, fratello anche mio” recita il brano finale, Laudate
Hominem (Lodate l’Uomo), in risposta al corale “liturgico” di apertura, Laudate
Dominum (Lodate il Signore). Questa Ringkomposition, questa struttura
ad anello, esprime e scopre una metamorfosi, da Signore a servo, da Onnipotente
a limitato, da Infinito a infinitamente piccolo, che l’ascoltatore vive attraverso i primi cinque brani della
maternità (sul lato A del vinile) e gli ultimi cinque, che ruotano intorno agli
ultimi momenti del Cristo (in musica e poesia nel lato B).
L’artista
ligure canta, in questa raccolta di sentimenti in forma sonora, di bimbe
private dell’affetto familiare, di adolescenza, di sogni di libertà, ci
presenta un Giuseppe anziano, una Maria vittima degli sguardi di una piccola
realtà di paese, apprensioni e dolori di madri, uno stringersi e un consolarsi.
La figura
di Tito, del buon ladrone, attraverso il celebre Testamento, si rende
immagine di un’umanità peccatrice, in lotta per la sopravvivenza, ma anche
pronta a trovare l’amore che gli è negato da sempre negli occhi del compagno
morente sulla croce.
L’opera
avrà un’inaspettata fortuna: dalle raffinate covers di Finardi e dei Modena
City Ramblers, fino alla versione firmata dalla PFM nel 2010, in occasione del
quarantesimo anniversario.
Oggi, La
Buona Novella è uno del capisaldi del ricordo di Fabrizio De Andrè, insieme
con il successivo Non al denaro non all’amore né al cielo (1971) e
con Anime salve (1996), il suo lascito morale, l’ultima pagina di un
modo di pensare e di vedere il mondo in cui brilla la cura per gli ultimi, per
l’altro, per il diverso.
Il vangelo
che nel 1970 d.C. veniva cantato da un uomo con la sua chitarra – un vangelo di
pura umanità, ma di sentimenti divini, di peripezie comuni e di sofferenze
condivise – anche in quel mondo che oggi propende all’apatia in nome di una
serenità di quartiere, quella buona novella, sorprendentemente, è più viva che
mai, non è “Voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1, 1-3).
Michele WILDE
© Giuseppe Stampacchia Press 2016
Tricase