A Cavallino di Lecce, due secoli di capolavori della pittura

Giuseppe Bonito, "Ritratto di gentildonna", olio su tela, 98,5 x 74, coll. Amata.
Ancora un evento d’arte a Cavallino di Lecce, nella splendida Galleria del Palazzo Ducale dei Castromediano, con un viaggio nella pittura tra Cinquecento e Settecento con i dipinti provenienti dalla “Collezione Amata”, una delle più interessanti raccolte private italiane.
“La Collezione Amata da Bassano a Longhi”
Una mostra
nella mostra – così l’ha definita in conferenza stampa il curatore Francesco Petrucci,
Conservatore del Museo del Barocco romano di Palazzo Chigi di Ariccia – perché
propone con le sue differenti sezioni quattro temi cari alla pittura: ritratto,
storia, paesaggio e veduta, natura morta.
Il
percorso espositivo che si snoda tra le sale della bellissima Galleria del
Palazzo Ducale, visitabile fino al 13 dicembre 2015, si apre con il ritratto. Otto capolavori per scoprire il volto
di personaggi dell’aristocrazia tra i quali Alfonso IV d’Este, un
prezioso olio su rame realizzato da Giusto
Sustermans (Anversa 1597-Firenze 1681), Fioravante Ravagnin
ritratto da Leandro Bassano
(Bassano del Grappa 1557-Venezia 1622) e il Cardinale Federico Borromeo
dipinto da Jacob Ferdinand Voet
(Anversa 1639-Parigi 1689). Sono solo alcuni dei personaggi di un’epoca lontana
fatta anche di gentiluomini, come quelli ritratti da Benedetto Gennari (Cento 1633-Bologna
1715), nipote del Guercino, o dal geniale pittore caravaggesco Tanzio da Varallo (Alagna Valesia 1571
ca.-Varallo 1733). E di gentildonne, come ci mostra l’artista napoletano Giuseppe Bonito (Castellammare di
Stabia 1707-Napoli 1789).
Con tredici opere il nucleo della pittura di figura presenta dipinti che trattano temi sacri, ma anche affascinanti scene mitologiche. Spiccano la Venere di Giovan Antonio Galli, detto Spadarino (Roma, 1585-1652), riconosciuto come uno dei quattro seguaci della “schola del Caravaggio” assieme a Cecco del Caravaggio, Manfredi e Ribera; il Trionfo di Sileno di François Perrier (Pontarlier 1590-Parigi 1650), il capolavoro su rame di Sebastiano Conca (Gaeta 1680-Napoli 1764) che ritrae con dolcezza il Cristo che sostiene il capo morente del padre nel Transito di San Giuseppe e, ancora un tema biblico, La Benedizione di Giacobbe di Giovan Battisa Merano (Genova 1632-Piacenza 1698). Due i capolavori ispirati al poema del Tasso, “La Gerusalemme Liberata”, in gran voga nel primo Seicento: Erminia fra i pastori di Pietro Testa (Lucca 1612- Roma 1650), artista raro e talentuoso, noto soprattutto per la sua produzione grafica, ed Erminia disperata che crede Tancredi morto raffigurata dal pittore emiliano Alessandro Tiarini (Bologna 1577-1668).
La sezione finale della mostra è dedicata alla natura morta con opere di Tommaso Salini (Roma 1575 ca.-1625), Orsola Maddalena Caccia (Moncalvo 1576-1676 ca.), Hans Van Essen (Anversa 1588/89-Amsterdam 1648 ca.), François Habert (attivo in Francia 1640-60), Nicolas Baudesson (Troyes, 1611 ca.-Parigi 1680), Giuseppe Recco (Napoli 1634-1695), Carlo Manieri (attivo 1662-1700 ca.), oltre al misterioso “Maestro SB” o Pseudo-Salini e all’anonimo “Maestro del dipinto Colonna”.
Un percoso
espositivo ricco di suggestioni e di sorprese. Da visitare assolutamente ancor
più considerando che si tratta di dipinti che verranno esposti per la prima
volta e provenienti, non da istituzioni pubbliche, ma dalla raccolta privata
del chirurgo plastico Pier Luigi Amata. Frutto della passione per l’arte e di
un collezionismo non ossessionato dall’opera, anche se dubbia, del grande nome,
nell’arco di venticinque anni Amata è riuscito a collezionare, nonostante la
crisi abbia fatto sentire i suoi effetti anche sul mercato antiquario
nazionale, ben centotrenta opere e a latere anche una ricca biblioteca di
storia dell’arte. Una raccolta caratterizzata «per il suo taglio trasversale
rispetto alle scuole regionali e agli indirizzi stilistici emergenti nei vari
momenti storici, ma anche per l’interesse accordato con ugual peso a tutti i
generi pittorici» – si legge nel saggio introduttivo a firma dello stesso
Petrucci nel catalogo per i tipi di De Luca editore che accompagna la mostra. «Sono
presenti nella raccolta, che è conservata a Roma, oltre a composizioni
multifigurali di soggetto sacro e profano, anche ritratti reali e allegorici,
nature morte, paesaggi e scene di genere, senza indirizzo selettivo di stile e
preoccupazioni di geografia artistica. Se il nucleo principale è costituito da
opere di artisti italiani o attivi nella penisola tra il XVI e il XVIII secolo,
– continua Petrucci – non mancano tuttavia alcune presenze estere, mentre sono
completamente assenti bozzetti ed elaborazioni di studio per affreschi,
decorazioni e pale d’altare, a differenza di altre collezioni private. Si tratta
insomma di tutte opere concluse o aspiranti ad una univocità, mancanti cioè di
qualsiasi connotazione propedeutica o di memoria a fatti artistici esterni».
La mostra,
che si pone
in continuità ideale delle mostre Dipinti
del Barocco romano da Palazzo Chigi in Ariccia, Dipinti tra Rococò e Neoclassicismo da Palazzo Chigi in Ariccia e da
altre raccolte, Ritratto e figura.
Dipinti da Rubens a Cades, tenutesi a Cavallino nel 2012, nel 2013 e nel
2014, è stata inaugurata sabato 26 settembre dallo storico dell’arte Vittorio Sgarbi alla presenza del
Sindaco della Città di Cavallino avv. Michele
Lombardi, l’Assessore alla Cultura On. Gaetano Gorgoni, l’architetto Francesco Petrucci, curatore della Mostra, il collezionista e
proprietario della Collezione Dott. Pier
Luigi Amata e il principe Fulco
Ruffo di Calabria, tra i promotori dell’evento.

Claude Lorrain, "Mercurio ed Argo".