NEET Generation

Ignoranza, volgarità, povertà economica e intellettuale, spreco di talenti: come salvarsi dai modelli e dai miti fuorvianti della modernità, che ha trasformato in una giungla di risentimenti il mondo giovanile e mette a rischio il futuro stesso della nostra società.

“Il pensiero è sempre immorale. L’essenza sua è distruttiva. Se si pensa a una cosa la si uccide; nulla sopravvive alla riflessione”. L’aforisma di Oscar Wilde rivela la fragilità dell’essenza vitale, volubile, continuamente soggetta alle turbolenze del pensiero umano. L’uomo appare quasi ridotto a una realtà ontologica, riducendosi a uno stampo fisico delle sue idee, dei suoi ragionamenti, del suo modo di interpretare il mondo; tutte le sue pulsioni vengono regolate dalla sua mente, che lo annichiliscono. L’uomo non è più libero dentro di sé, e questo lo porta al suo sfacelo: gli si prefigura di fronte il viso antropomorfo di Thanatos, dio della morte, che secondo la mitologia greca distrugge il vivente rendendolo un esemplare inorganico.

Ma talvolta, prima di giungere a questo punto critico, l’uomo si sente attanagliato dal disagio. Secondo Sigmund Freud, il disagio non è altro che il contrasto fra felicità individuale, riconducibile all’es, che tenta di creare complessità e tortuosità nella vita (il cosiddetto Eros), e la moralità, il super-io, che porterebbe alla distruzione, che tiene a freno le pulsioni e le eccitazioni della mente tenendo conto delle restrizioni della società (il Thanatos, appunto).


Oggi, la nuova generazione riesce a esorcizzare il disagio, soggiogando la moralità freudiana che viene rivoltata come un calzino. La società trasforma così ciò che è morale in anormalità, squilibrio, devianza. La felicità individuale si identifica con quella che dovrebbe essere l’amoralità, divenuta lecita grazie alla mentalità della nuova generazione. Concretamente, è spiegabile con vari esempi. Il primo: un ragazzo può decidere se studiare, formarsi, ricevere le basi per costruirsi una solida cultura, oppure optare per una vita malsana, vile, infruttuosa, priva di ambizioni, lasciandosi mantenere dai genitori e talvolta abbandonandosi al dispendio di denaro per droga, alcool, gioco d’azzardo, scommesse clandestine. Devianza puntualmente fotografata dalle statistiche: secondo l’Istat, i giovani NEET (Not in Education, Employment or Training: giovani cioè d’età compresa fra i 18 e i 29 anni che non studiano, non partecipano a un percorso di formazione e non sono impegnati neppure in un’attività lavorativa) in Italia sono 2,3 milioni, una percentuale da capogiro, tra le più alte d’Europa, a rischio concreto di esclusione sociale: “un esercito immobile di nuovi analfabeti lavorativi”, li ha definiti efficacemente Il Sole-24Ore.    

Un altro esempio di immoralità divenuta morale è sbattere i propri figli di 6-7 anni in prima serata in televisione per far vedere al mondo di essere genitori di un “prodigio” che è in grado di ballare o cantare fin dalla tenera età. “Io diventerò qualcuno, non studierò, non leggerò, a tutti voi dirò di no”, cantano i bambini sul palco di un concorso nel videoclip musicale dell’omonima canzone di Caparezza “Io diventerò qualcuno”, in cui il cantante ironizza platealmente la nuova tendenza diffusasi, che ormai è così radicata nel nostro vivere quotidiano da passare inosservata.

E per chi ancora riesce ad afferrare il concetto di vera moralità? Al disagio potrebbe sommarsi lo sconforto generato dall’osservazione della realtà in cui si vive, che porterebbe le persone con un minimo di buon senso a creare attorno a sé una barriera per difendersi da questa abissale ignoranza intrisa nella società. Oppure, come accade per le persone più sensibili e vulnerabili, si diventa vittima del caro dio Thanatos, finendo per soccombere e autodistruggersi.

 

Venusia CORRADO   

© Giuseppe Stampacchia Press 2016

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